• -

Lo Stato sono io?

Category : giornalismo

Testata -Investire nel Mondo- 05 ottobre 2007

E’ possibile pagare tasse per poter pagare le tasse? Succede in Italia, abbiamo intervistato un notaio che testimonia degli inutili balzelli imposti al cittadino.

di Massimiliano Cocozza

D: Dottore chi è lo Stato?
R: Lo stato sono io? Siamo noi… Quello Stato assistenzialista e sciupone la cui azione è sempre stata finalizzata allo sperpero del denaro pubblico, alla creazione di poltrone variamente riscaldate, al mantenimento di se stesso.
D: C’è chi dice che questo modo di amministrare non esiste più.
R: Vero è che i mutamenti culturali e normativi degli ultimi anni hanno posto le basi per un profondo cambiamento dei rapporti tra Stato e Cittadino. Ma è altrettanto vero che siamo soltanto agli inizi, eppure la strada sembra essere ben tracciata ed in molti di noi sia la forza sia il coraggio di percorrerla sembrano non mancare.

D: Sarà percorrendo questa strada che ciascuno potrà sempre più a buon diritto affermare “lo Stato sono io”?

R: Uno dei nodi di una progressiva trasparenza sembra essere il mondo informatico.
Perché proprio grazie all’informatica ed alla capillare diffusione di internet potranno esse abbattuti tanti ostacoli la cui presenza giustifica i timori di quanti, come il Prof. Stefano Rodotà, paventano la divisione della società moderna in “inforicchi” ed “infopoveri”.
La diffusione delle reti è oramai un qualcosa di inarrestabile, e l’arma migliore per evitarne i danni è proprio quella di favorirla, quasi come se si trattasse di iniettare un vaccino: favorire internet significa diffonderla sempre più, creando una società di “inforicchi” capace di sviluppare i propri “anticorpi” e quindi – ovviamente in un lasso di tempo più o meno breve – incapace di produrre “infopoveri” in quantità significativa.
L’essere “inforicchi” non costituisce né deve costituire un privilegio, ma la situazione ordinaria e diffusa, ed il limite massimo di tale status è dato dalla normale capacità di potere utilmente e senza difficoltà usufruire dei servizi disponibili in rete; un limite superato il quale si diviene specialisti dell’informatica, ed è tutt’altra previsione.
Accettare un concetto di parità Cittadino-Stato significa anche, favorendo internet, promuovere l’accesso alle reti e con esso quello alle basi dati pubbliche, cioè a quelle basi dati che noi stessi, col nostro operare quotidiano o addirittura per il semplice fatto di esistere, alimentiamo in qualità di fornitori di informazioni o quali elementi di informazione (l’uomo ridotto a un dato).

D: Forse per raggiungere una forma di parità fra cittadini e Stato ci sarebbe bisogno di maggiore trasparenza?
R: Parità significa anche trasparenza: accedere alle basi dati pubbliche significa esercitare un controllo sull’attività statuale, ed è un controllo che da Cittadino dovremmo potere esercitare in qualsiasi momento.
E’ ovvio che esistono settori (sicurezza nazionale, giustizia, etc..) nei quali la riservatezza o addirittura la segretezza sono d’obbligo: certamente non mi riferisco ad essi.
Ma nella maggior parte dei casi non vedo alcun motivo per limitare l’accesso all’informazione statuale, o per subordinarlo al pagamento di diritti più o meno esosi.

D: Ci fa alcuni esempi?
R: Ecco alcuni esempi:
se costituzionalmente viene garantita la par condicio tra accusa e difesa, tra giudice ed avvocato, perché far pagare al privato la consultazione del CED della Corte di Cassazione mantenendola gratuita per il magistrato? (con l’assurdo nell’assurdo: il G.O.A. paga tale consultazione al pari del privato)
stesso discorso per la normativa: se tutti dobbiamo conoscere le norme di legge cui siamo sottoposti (una conoscenza, come sappiamo, juris et de jure), perché limitarne la consultazione gratuita soltanto alla pubblica amministrazione e non offrire gratuitamente la stessa consultazione ai Cittadini?
perché per conoscere la base imponibile delle imposte fondiarie mi si obbliga (non esplicitamente, è vero, ma non esistono agevoli alternative) alla esecuzione di una visura catastale, dal costo modesto ma pur sempre a pagamento. Pago una tassa per pagare le tasse: assurdo!
perché per conoscere la solvibilità o la situazione ipotecaria del mio interlocutore – e quindi anche a fini di ordine pubblico e nell’interesse generale dell’economia – debbo pagare le informazioni che richiedo?
Ordinariamente a tali domande viene fornita una risposta molto banale: “si tratta di servizi che costano”. E’ vero, ma se vediamo le componenti di tali costi e cerchiamo di capire meglio come funzionano le cose ci rendiamo allora conto che molto può farsi per rendere a noi stessi la vita più semplice e, più in generale, per portare liberamente e gratuitamente al Cittadino tutti quei servizi di informazione amministrativa e legale che sappiamo essere divenuti oramai indispensabili per favorire il buon andamento dei rapporti economici e patrimoniali ma le cui chiavi sono in mano soltanto alla pubblica amministrazione, o agli “utenti esterni abilitati”.  
Le spese di impianto del sistema informativo pubblico sono state già sostenute, da tempo: ad esse si è fatto fronte con denaro della collettività, dei contribuenti, nostro.  
Altro discorso per la gestione, che comprende sia gli aggiornamenti di macchinari e programmi, sia il trattamento dei dati e la loro elaborazione o disponibilità.  
Che tale attività abbia un costo è innegabile, ma a mio giudizio è altrettanto innegabile il fatto che al Cittadino vengano richiesti “balzelli” sempre più esosi, non più rapportabili al costo reale del servizio prestato o richiesto.  
Costo reale e non valore: lo Stato non fa commercio.  
Ancora peggio l’imporre tali balzelli quando colui che richiede la consultazione dei dati è la stessa persona che tali dati ha fornito. L’attuale sistema, peraltro, (pur non essendo certamente questa l’intenzione di quanti lo hanno così concepito), genera situazioni di inaccettabile diseguaglianza, poiché collega il costo del servizio (mi riferisco in particolar modo a quello ipotecario) non tanto all’interesse garantito quanto alle soggettive vicende patrimoniali ed economiche del soggetto “ispezionato”.  
Mi spiego meglio con un esempio: le certificazioni notarili ex L. 302/98 (esecuzioni immobiliari). Nella mia personale esperienza, e fermo restando l’ammontare del credito esecutato, non mi è mai capitato di sostenere i medesimi costi di visura per procedure tra loro similari: tali costi (che un criterio di equità vorrebbe eguali per vertenze di valore eguale) sono stati sempre differenti per ciascuna relazione, da poche decine di migliaia di lire fino a diversi milioni, sempre in rapporto alle vicende patrimoniali dell’esecutato. A mio giudizio ciò è immorale.  
A tali costi si aggiungano poi quelli che lo Stato sostiene per la loro esazione (in termini di personale, gestione contabilità, rischio-denaro, software, sistemi di account, etc.), ben spesso uguali o addirittura superiori all’ammontare dei ricavi. Basti a tal fine ragionare sui dati forniti dal Ministero delle Finanze per l’anno 1998: in tutto l’anno il sistema di visure catastali on-line ha fruttato ricavi per appena 3,5 miliardi di lire…Ma non è dato sapere quanto si è speso per incassare tale folle cifra! Ridicolo.    

D: Mi viene un dubbio: allora lo Stato è un altro? Non sono io?  

R: scusi ma la domanda era partita da me.